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I SENTIERI DEL VENTO

DI

PINO DEL PRETE

 
“… novistine locum potiorem rure beato est
Plus tepeant hiemes ubi purior aqua quam quae
Per pronum trepidet cum murmure rivum ? …

(“ Hai mai conosciuto un luogo migliore di questa felice campagna, dove l’inverno sia più mite ,l’aria più dolce ,l’acqua più pura di quella che scorre mormorando per l’agile ruscello?

I L P R I M O G I O R N O

Ormai era deciso e non sarei più tornato indietro : la prova era iniziata e non vi avrei rinunciato…da settimane avevo progettato questo viaggio itinerante in montagna “ in solitaria “…
Ho studiato cartine dell’istituto geografico militare ; ho calcolato tempo e misurato distanze ;ho testato l’abbigliamento più adatto per l’impresa…
Ormai tutto l’equipaggiamento è ben sistemato nel portabagagli della mia auto insieme a provviste per quattro giorni….
Sento il bisogno di un caffè mentre percorro la Salerno – Reggio Calabria , anche se l’ansia di arrivare a saracena,mia prima tappa,mi divora.
Stazione di servizio Agip di Sala Consilina : alcuni viaggiatori consumano frettolosamente panini e caffelatte ,pronti a riprendere il loro viaggio. Ultimo lusso , l’acquisto di un pacchetto di caramelle che metto nel taschino della camicia. All’altezza dell’uscita autostradale di Campotenese,sulla mia sinistra,eccolo lì, il “ vecchio gigante “che domina con le sue tre vette i monti circostanti.
In una lieve foschia , Il Pollino,il Dolcedorme immoti,sembrano osservare silenziosi il veloce passaggio delle auto ,come un tacito invito ad allontanarsi da quei luoghi là , dove la natura ha deciso di erigere il suo punto più elevato del nostro Sud .
Di fronte,sulla destra,in lontananza, le incontaminate cime dell’Orsomarso ,meta del mio viaggio , dove avrei vissuto una delle avventure più emozionanti della mia vita sui monti.
Intanto osservo la catena del Pollino e la mia mente inevitabilmente correva alle decine di escursioni effettuate su quei sentieri ,alle difficoltà,alla nebbia,alla pioggia,al sole implacabile sui pascoli di altura ma soprattutto ai lunghi silenzi rotti soltanto dal sibilo del vento attraverso le sconfinate praterie ed i fittissimi boschi di faggio e tra gli “ eterni pini Loricati “, sentinelle immote e silenziose di queste alte cime …
Ripensavo agli sterminati pianori di alta quota dei Piani di Pollino ,con le sue aspre doline moreniche ,”l’irraggiungibile vetta “ del Dolcedorme che con i suoi 2242 metri ne facevano la montagna più alta del Sud , la boscosa Serra del Prete , la selvaggi e magica Serra delle Ciavole ( la montagna dei corvi ) ,la “ Grande Porta del Pollino “ sormontata dalla rocciosa Serra di Crispo e … al povero “ zi’ Peppe” , il millenario pino Loricato incendiato nell’ottobre del 1993 da un gruppo di balordi .
Ora,restavano lì soltanto un ammasso di contorti rami bruciacchiati là dove prima sorgeva il più imponente loricato di tutto il comprensorio , preso a simbolo dal 1989 del nascente Parco Nazionale .
Mi rendo conto come una politica di riassetto dei parchi naturali si renda necessaria anche se, non condivido appieno l’idea di Parco come “oasi” , in quanto tutte le montagne ,almeno loro,dovrebbero essere libere da vicoli ,specie per persone come me a cui piace “ vagare “ liberamente senza essere legato a permessi o concessioni per bivaccare in questo o in quel posto … è piuttosto un problema di come gli individui si accingono a penetrare nel cuore della natura … un’opera di sensibilizzazione si rende quindi indispensabile ,già in età scolare,per inculcare nei giovani l’amore e soprattutto il rispetto anche di un solo filo d’erba … d’altra parte è anche assurdo che il controllo di un parco vastissimo come il Pollino ,ricco di ben 196.ooo ettari venga affidato al lavoro di pochi forestali privi anche di mezzi idonei per compiere efficacemente il proprio servizio.
Tra questi pensieri,finalmente esco dall’autostrada Frascineto – Castrivillari : siamo a 362 metri sul versante meridionale del Pollino,nella alta Valle del Coscile ,dominata dal suo castello della fine del xv secolo . Seguo le indicazioni per Saracena,passando prima per il paese di origine “ arbereshe “ ( fusione di culture italo-albanesi) San Basile.
Qui ,il tempo sembra essersi fermato : bottegucce di piccoli artigiani sono nascoste in vicoletti stretti in un’atmosfera che invita alla calma e alla serenità.
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Il solito gruppo di vecchietti sosta seduto dinanzi allo scolorito bar della piazza principale del paese ,chi giocando a carte , chi sorseggiando un fresco boccale di birra,o chi,più semplicemente,se ne sta da solo assorto nei suoi pensieri ricordando tempi ormai troppo lontani nella memoria …
La mia auto viene seguita distrattamente con lo sguardo da alcuni ragazzini fermi dinanzi ad un marciapiedi.Qua e là aride colline punteggiate di ulivi e fichi d’India fanno da corridoio alla strada asfaltata percorsa soltanto dalla mia automobile.
Ore 17.00. Finalmente Saracena !
Prima di girare sulla destra per addentrarmi nel cuore dell’ Orsomarso,attraverso i Piani di Novacco,scendo in paese per acquistare un po’ di pane fresco ed un po’ di carne .
Avrei voluto salutare il Maresciallo Gioacchino Di Mico ex comandante della locale stazione del Corpo forestale dello stato,ma già da due anni è stato trasferito a Castrovillari presso l’ente parco come collaboratore diretto dei funzionari responsabili del comprensorio Pollino-Orsomarso .
18 chilometri di montagna , sempre in salita,immersa in una fittissima vegetazione,separano Saracena dai Piani di Novacco : dopo essere passato per il bivio di “ Piano dell’Erba” proseguo senza fermarmi per non incappare nel buio prima di sistemare il campo per la notte.
Ore 18.20. Piano di Novacco .
Niente è mutato dall’ultima volta che vi sono stato con i miei inseparabili amici : rifugi chiusi sulla sinistra,il cartello indicante “ Piano del fondo di Novacco “,la strada bianca che si perde e muore nel fondo delle immense foreste .Il Piano di Novacco…uno dei più grandi pianori carsici di tutto il Sud,è racchiuso dai Monti Palanuda ,Caramolo,Timpone della Magara ,Timpone Scifariello.
Orsomarso … ultima terra selvaggia,speranza di una natura che vuole sopravvivere a tutti i costi ai ritmi dell’era moderna ! A battezzarlo provvide Franco Tassi ,noto naturalista che,nel 1860 approdò dal Pollino a questi monti “ sospesi tra fantasia e realtà quasi inafferrabili” e subito decise di chiamarli “Orsomarso” dal nome di un vicino paese “ evocativo di antiche presenze di vera natura selvaggia “.
Tra le antiche presenze c’è,ovviamente,quella dell’orso,da tempo estinto su queste montagne.Quanto alla “natura selvaggia” non c’è bisogno del suffragio dei dotti per rendersi conto che il titolo di “ re della wilderness” ( luogo estremamente selvaggio ) spetta di diritto all’Orsomarso.
Solo qui,forse,ci si può rendere conto di come vivessero i nostri progenitori agli albori della storia!
Ho deciso di passare questa mia prima notte in solitaria alle spalle dei rifugi,avendo a disposizione anche una montanina a pochi metri.Il cielo adesso è più terso e più pulito anche se una leggera brezza mi costringe ad indossare un maglioncino leggero. Respiro a pieni polmoni l’aria fresca che proviene dai secolari faggi che abbracciano tutta la pianura. Sono solo.
Nessuna auto o rumore disturba il silenzio della sera.
Dal portabagagli scarico soltanto lo stretto necessario per la notte : la tendina ad “igloo” ,ilo sacco-letto,la lanterna a gas e naturalmente la cena.
Guardo l’orologio : sono le 19.05 ;è ancora giorno,ma già l’orizzonte si sta tingendo di porpora ad ovest e tutto ciò mi lascia sperare che domani sarà una giornata magnifica che mi vedrà impegnato per la risalita alla cimadel Cozzo dell’Orso ,dopo i Piani di Tavolara .
Mi inoltro nel bosco ,alle spalle del più piccolo dei rifugi ,dove,nel febbraio del 1993 ho pernottato con i miei amici Raffaele,Ugo e Bruno,per una grande ed indimenticabile avventura sulla neve.
Sgombero il terreno da inevitabili sassi e rametti ed in pochi minuti monto la tenda.
Un cerchio di pietre bianche protegge la legna secca ,pronta soltanto per essere accesa:Mi avvio per il sentierino che conduce all’acqua : mi do una rinfrescata e riempio la borraccia per il pasto serale e per la notte . Già qualche stella si affaccia timida nel cielo che adesso ha assunto un colore azzurro carico,quasi grigio che annunzia l’approssimarsi delle tenebre.
Accanto alla tenda,invece,sotto i faggi,è già notte : i folti rami coprono la volta celeste formando come una cappa sul mio piccolo campo. Mi sdraio sul materassino di gomma : non si ode alcun rumore,neanche il cinguettio di un passero.
Chissà come reagirò a questa prima notte da solo,a 18 chilometri dal paese più vicino !Intanto rivedo i Piani di Novacco in quel lontano 1991 quando con i miei amici restammo sbalorditi di fronte a tanta meraviglia della natura…
Sì,era in settembre ,la fine di settembre,in un primo autunno non ancora nato ,in una estate lunga e soleggiata… e ricordo le tende…sì,dovevano essere proprio lì in quella direzione,ad una ventina di metri
dove sono io adesso ,illuminati da un fuoco schioppettante rallegrati da un acre profumo di carne alla brace…
A proposito …
Tal pensiero mi ricordai che ancora dovevo cenare ,e mi do da fare per accendere il fuoco ,il mio primo fuoco in solitaria,forse il mio unico compagno in questo viaggio a cui confidare tutte le mie emozioni.
Qui non occorre denaro : tutto ciò di cui abbisogni è intorno a te,unito alle tue capacità…qui non c’è posto per gli egoismi ed i ripensamenti…
Te la devi cavare da solo e vedere “quanto vali” per quello che in tanti anni hai appreso sui monti .
Il grasso della carne,cadendo sulle braci ardenti,emana uno sfrigolio che rompe la quiete della sera .
Non c’è luna ,ma in compenso il cielo è tappezzato di stelle. Mangio con gusto l’ottima carne acquistata a Saracena, accompagnata da un buon pezzo di formaggio ,mentre abbrustolisco le salsicce che avvolgo con cura in un pezzo di carta stagnola per poterle consumare domani.
Preparo un discreto caffè liofilizzato nel pentolino di metallo e, mentre sorseggio ,mentalmente penso al percorso di domani e quello che mi aspetta nei giorni a venire .
Riattizzo il fuoco diventato ormai solo brace e mi accoccolo steso sul materassino ad “assaporare” i silenzi della notte con lo sguardo fisso sulle fiammelle che con veloci guizzi raggiungono il cielo.
Ore 21.15.
Prudentemente spengo il fuoco e mi infilo nel sacco a pelo.
Non sono stanco ,ma mi conviene riposare per affrontare meglio le fatiche di questi miei giorni sui monti.
Il solito rumore fuori della tenda …
Un ramo caduto,un sasso spostato , il fruscio del vento …ti riportano alla mente fantasie fanciullesche in un mondo incantato di strani folletti che si aggirano dispettosi intorno a te …
“ non c’è niente con il buio che non ci sia stato anche quando c’era la luce “ penso ,cercando di convincermi…
Ma l’atavica paura delle tenebre è insita in ciascuno di noi …
Mi raggomitolo nel sacco a pelo con accanto la torcia.
Credo di essermi addormentato e di avere anche sognato …


Ore 5.25.
SECONDO GIORNO
Fuori della tenda è un cinguettio assordante che saluta il nuovo giorno.
Fa un po’ freddo e dopo aver osservato l’orologio,mi raggomitolo ancora di più nel sacco a pelo pensando di riposare ancora un po’ prima di mettermi in marcia.
E’ un dolce torpore quello che ti prende alle prime luci dell’alba e ti costringe a rimanere al calduccio non osando aprire la tenda. Dio mio !
Ma quanto ho dormito ?
Sono le 7.20. Lentamente esco all’esterno : subito mi investe un’aria fresca ,frizzantina,che mi fa rabbrividire. Riaccendo il fuoco e preparo subito un caffè ,mentre,seduto su un masso avvicino le mani alla brace per riscaldarmi.
Colazione a base di latte condensato e biscotti ed infine la noiosa operazione di ripiegare la tenda ed infilarla nel suo sacchetto.
Spengo con cura il fuoco e ritorno all’auto.
Faccio un’ultima revisione del mio equipaggiamento visto che lascerò l’auto per tre giorni proprio qui,prima di immergermi completamente nella “wilderness” .
Metto lo zaino sulle spalle … accidenti deve essere circa 12 kg. Ma inutile pensarci e mi avvio di buon passo su una traccia di sentiero.prima di girare ad una curva do uno sguardo alla mia auto come per salutare il mio ultimo contatto con il mondo civile .
Le gambe rispondono bene ed i primi dieci minuti sono inevitabilmente dedicati a “spezzare “ il fiato.
Non ho indossato il maglione ben sapendo che dopo pochi minuti me ne sarei sbarazzato : del resto con la camicia di cotone procedevo veramente bene.
I Piani di Novacco ora sono proprio stupendi !
Sono le 9.10. Abbandono i Piani per immettermi in una faggeta con uno stretto sentiero che mi porta,in pochi minuti al Piano di Vincenzo. Il nome “Vincenzo” deriva da un pastorello ,appunto Vincenzino,misteriosamente ucciso anni fa in questi boschi ,come ebbi modo di sapere da alcuni montanari sotto il Caramolo .
La natura,in questo mese,è in piena esplosione : orchidee selvatiche,ciclamini,papaveri e campanule sembrano soffocare con i loro brillanti colori il verde dei prati …
Su,in alto,sulla destra,alcuni aceri ed ontani napoletani fanno da sentinella al pianoro come antichi guerrieri con la loro armatura. Un ultimo tratto allo scoperto ed eccomi giunto alla fiumarella di Rossale al cancello della Forestale.
Mi guardo intorno e cerco un posto dove nascondere lo zaino che avrei preso al mio ritorno dopo l’ascesa al Cozzo dell’Orso. Dopo essermi inoltrato per qualche metro nella profonda boscaglia,finalmente trovo ciò che fa al caso mio : un vecchio faggio,coperto di edera,con rami grossi e robusti a cui appendere il mio zaino con un cordino temendo l’intrusione di qualche volpe attratta dall’odore del cibo .
Con me porto solo la colazione al sacco per il pranzo,la giacca a vento,la borraccia,le carte,la macchina fotografica ed altri piccoli oggetti,il tutto racchiuso in uno zainetto.
Fisso nella mente il luogo dove ho nascosto lo zaino.
Ore 9.55.
Salgo per il sentiero a sinistra del cancello della forestale : subito una ripida salita cosparsa di sassi bianchi e levigati fa venire il fiatone… è un saliscendi del sentiero ,a volte ingombro di grosse pozzanghere ,frutto di recenti piogge. Un grosso rospo,spaventato,si rifugia ai lati del sentiero scomparendo alla mia vista. Sulla destra,da lontano,nascosto dalla faggeta,mi appare una visione del Palanuda e Pietra Campanara che avrei visitato domani.
Ne approfitto per scattare una foto al panorama ed un’altra con autoscatto per immortalarmi.
Procedendo sul sentiero,il bosco si fa più fitto facendomi rabbrividire ,costringendomi a sfregare le braccia con le mani. Farfalle dai mille colori si posano sui fiori in una fantasmagoria di colori accecante mentre uno scoiattolo nero si arrampica veloce su un ontano al mio passaggio.
Ore 10.50.
Improvvisamente il bosco termina e dinanzi ai miei occhi si profilano i Piani di Tavolata investiti dai raggi del sole. Mi sdraio sull’erba a godere un po’ di sole,ma un rumore d’acqua attira la mia attenzione.
Mi avvio per il sentiero di sinistra dove,dopo pochi metri,trovo la sorgente di Tavolara immersa nell’omonimo torrente. Ne approfitto per riempire la borraccia.
L’acqua fresca mi ghiaccia le mani e mi sciacquo il viso facendomi gocciolare l’acqua sulla barba e sulla camicia. Comincia a fare caldo e sulla mia destra trovo il laghetto di Tavolara .
Nuova fotografia mentre mi diverto ad osservare gli uccelli che planano a pelo d’acqua in cerca di insetti.
E’ un paradiso !
Inizia subito una nuova salita e sulla mia destra trovo una vecchia costruzione con la porta e le imposte delle finestre chiuse… unica casa in questo luogo … meglio se non ci fosse !
Proseguo il mio cammino,finchè sulla sinistra decido di tagliare attraverso il bosco per evitare due faticosi tornanti. Seguo una tenue traccia di sentiero finchè,dopo pochi minuti,giro a sinistra per voltare ancora a destra in leggera pendenza.
Il cinguettio degli uccelli accompagna il mio cammino,mentre non mi stanco di scattare foto ,specie ai fiori che si pavoneggiano riscaldati dal sole che filtra prepotente tra i rami.
E’ un invito alla vita !
E’ strano come qui non ti occorra niente : poche cose da portare dietro ,nel tuo sacco,ed il cuore pieno di entusiasmo come un fanciullo.
Ti senti vivo,forte,e ringrazi il buon Dio di averti concesso tutto questo e non pretendi nulla se non respirare a pieni polmoni l’aria tersa e pura,bere ad una fresca sorgente,riposare tra l’erba alta di un prato o di osservare incantato il volo degli uccelli …
Una ripida salita mozzafiato dopo circa 15 minuti ,mi porta in una piccola valle ,dove,sotto un invitante acero ,mi fermo a riposare e per fare il punto della situazione.
Ore 12.15.
Ne approfitto per bere un sorso d’acqua e sgranocchiare un biscotto…buona abitudine quella di non bere durante la marcia : ti spezzerebbe il fiato e ti raffredderebbe i muscoli !
Do uno sguardo alla cartina : sono precisamente in una valle tra il Cozzo della Schioppettata ed il Cozzo dell’Uomo morto a 1350 metri stando al mio altimetro.
Certo,questi curiosi nomi di monti ,sicuramente rievocheranno qualche cruento episodio del passato ,probabilmente legato al brigantaggio di fine secolo sulle montagne calabro-lucane !
Una farfalla,riposa sulla mia gamba:resta immobile,muove le zampette ,infine con un elegante volteggio di ali riprende tranquilla il suo volo per finire su un cardo color violetto.
Non ho voglia di alzarmi; con le mani dietro la testa ,contemplo le cime ed il cielo terso con una piccola nuvola bianca dalla strana forma di cavallo…
Ore 13.00.
E’ ora di rimettersi in cammino.
Riprendo la marcia e,lasciata la piccola valle,il sentiero prosegue ancora nel bosco infittendosi sempre più. Il dislivello adesso si fa sentire…
Piccole radure sulla destra,coperte di felci ed agrifoglio ,fanno capolino nel fitto bosco ,mentre il sole,adesso,alto nel cielo illumina tutto il creato.
Proseguo sapendo che ormai non dovrebbe mancare ancora molto. Alla fine del bosco ecco un’altra radura profilarsi dinanzi a me completamente circondata da ontani e faggi. Sulla destra ,più avanti,su un masso c’è una scritta sbiadita di colore rosso “ A 2 “… è il sentiero giusto per la cima .
Con rinnovato vigore affretto il passo e dopo una brusca curva sulla sinistra mi accorgo che a pochi metri dal mio capo ,non vi sono più monti ma cielo… ci sono !
Raggiunto un valico,caratterizzato da un grosso albero abbattuto,seguo i margini della cresta finchè,meraviglia,dopo pochi metri compare la vetta nuda del Cozzo dell’Orso.
E’ uno spettacolo mozzafiato !
Su un grosso masso a sinistra,vi è una scritta “Cozzo dell’Orso” mt. 1561 .
Depongo lo zaino e mi guardo attorno estasiato : dinanzi a me vi è tutta la catena del Cozzo del Pellegrino,con la cima del Monte Trincello ( mt.1178) ; serra Patrizzi (mt.1795),Cozzo di Valle Serra(mt.1824) e nel fondovalle scorre l’Abatemarco con i gli impressionanti strapiombi di Boccademone da cui si affacciano numerosi scheletri di pino loricato .
Dopo essere stato nel settembre del 1992 con Ugo e Bruno sulla vetta del Cozzo del Pellegrino (mt.1987) pensavo di non poter vedere niente di più bello sulle cime dell’Orsomarso e invece …
Questa cima mi ha generosamente ripagato facendomi ammirare uno spettacolo che non avrei mai immaginato ! Sono le 13.40.
Ho scattato molte foto,ma il paesaggio ne meriterebbe molte di più !
Intanto,indosso la giacca a vento a causa di una leggera brezza proveniente da ovest. Decido di pranzare.
Pane,formaggio,una scatoletta di tonno ed un succo di frutta,
il tutto innaffiato da acqua fresca di Tavolara. Non voglio pensare di andar via…adesso sono qui,in questa pace e voglio restarci !
Da lontano,nel fondovalle,odo i campanacci di mucche al pascolo : è la prima presenza in quasi 24 ore in solitudine. Chiudo gli occhi posando il capo sullo zainetto…
È strano come io adesso sovrasti questi monti ,ma è soltanto una illusione di fronte a questa 5
Immensità che ti domina e ti fa sentire tanto piccolo.
Il sole scotta,ma non disturba,anzi,fa si che mitighi un po’ la brezza che accarezza le cime .
C’è una calma ed un silenzio assoluto : sono solo ,ma non estraneo ...è curioso pensare come l’uomo possa aver creduto di dominare il mondo,di farlo suo,di poter possedere la terra ed i mari …
Ahimè ! Quanto ci si sente piccini di fronte a queste meraviglie del creato,di cui facciamo parte,e ,senza rendercene conto,dinanzi a queste immagini,l’animo si rabbonisce,tutto assume una dimensione diversa…anche il tempo sembra fermarsi…
Un falco volteggia leggero e sicuro tra le vette,poi si allontana dal mio sguardo versoboschi circostanti. Sono e mi sento libero,respirando gli odori di erica arborea e di lutino restando così sdraiato accarezzando con le mani l’erba accanto a me …
E’importante come in ceri momenti vorresti esternare a qualcuno le tue emozioni su ciò che senti e su quello che provi … ho provato a prendere il notes e la penna ma non sono riuscito a scrivere nulla !
Osservo il sole,ed istintivamente guardo l’orologio : sono le 14.30.
Mi alzo con calma ,do un ultimo sguardo al panorama,poi,senza voltarmi,riprendo il sentiero dell’anticima che ora mi appare più buio a causa del fitto degli alberi dopo essere stato esposto a tanta luce in vetta. Piante di corbezzoli e cespugli di ginestra mi tengono compagnia sulla strada del ritorno .
Sosto pochi minuti al lago di Tavolara ,poi mi preparo ad affrontare la salita sulla destra che mi riporterà di nuovo al cancello della Forestale.
Ore 16.05.
Ritrovo il mio zaino ( fortunatamente intatto ) e proseguo dritto fino a scavalcare di lato il cancello perennemente chiuso a tutela dell’oasi di tutta la Valle dell’Argentino ,forse l’ultima vera “wilderness” del nostro paese !
Il sentiero dapprima prosegue in dolce discesa,poi in forte pendenza con una serie di tornanti che in capo a mezz’ora mi porta a “ Mare Piccolo” .C’è ancora la vecchia capanna di tronchi dove con i miei amici ho trascorso tante notti accanto al camino in pietra e,da dove,in una piovosa notte di fine aprile abbiamo udito a pochi passi da noi l’ululato di numerosi lupi provenienti probabilmente da Pietra Campanara.
Quel ricordo mi da po’ di inquietudine ,ma cerco di allontanare in fretta quel pensiero : ho altro da fare adesso !
Non si ode alcun rumore … solo il ritmico scivolare della fiumarella di Rossale a pochi passi dalla capanna.Per prima cosamonto la tenda . Potrei dormire nellacapanna,ma preferisco godere in pieno gli odori e i rumori della notte di questo piccolo paradiso nascosto,scoperto da noi nel 1991.
Si tratta di un’ampia radura,da cui parte il sentiero per il Monte Palanuda,la fiumarella di Tavolara ed il Varco della Gatta località a me ben note e familiari.
Una rustica fontana in pietra assicura acqua fresca e pura mentre abeti neri ed ontani napoletani rinfrescano la zona circostante.
Si nota anche la presenza di molti meli selvatici dai frutti piccoli ed aspri,molto graditi però dalle numerose famiglie di caprioli e cinghiali che scorrazzano liberi in questa foreste.
Raccolgo legna secca e la dispongo in catasta accanto ad un cerchio di pietre già precedentemente preparato da me. Colgo l’occasione per darmi anche una rinfrescata alla fontana e per cambiarmi la camicia ormai sporca.
Ore 17.50.
E’ ancora presto prima che faccia buio e ne approfitto per dare un’occhiata al “ belvedere” sul sentiero che porta al Palanuda a circa 1 km. Dal mio campo.
Porto con me la macchina fotografica,il binocolo nonché la carta topografica con notes e matita. Una coppia di scoiattoli spaventata,sale agilmente su un grosso pino e mi osservano dall’alto quasi a volersi prendere gioco di me o soltanto disturbati dalla mia presenza …radici contorte di faggi dalle strane forme mostruose fanno da corridoio al sentiero mentre il bosco si infittisce sempre di più.Sulla sinistra parte un sentiero,lo imbocco e arrivo al “Belvedere” … è sempre uno spettacolo nuovo,meraviglioso osservare dall’alto tutta la Valle dell’Argentino con i suoi abissi e le sue profonde gole,attraversate da foreste intricate ed impenetrabili senza alcuna traccia di sentiero …
Sono entrato adesso nel cuore dell’area selvaggia dell’Orsomarso,e penso a quando dopodomani dovrò scendere laggiù,da solo,in quella immensità di verde che “inghiotte” ogni cosa.
Mi siedo su una roccia e mi guardo intorno : alla mia destra si erge la curiosa guglia naturale di Pietra Campanara un monolite alto ben 35metri sulla cui cima le fanno da cappello dei folti lecci;in alto,la cima brulla e calva del M.Palanuda con i suoi pericolosi Crivi di Mangiacaniglia,sormontati da decine di pini Loricati “pettinati” dal vento .
Domani la giornata sarà dura,perciò mi alzo e mi avvio per il sentiero del mio campo .
Tutto è avvolto dal silenzio della sera.
Improvvisamente ricordo di avere portato con me,nello zaino,una tavoletta di compensato da inchiodare sulla porta della capanna : un monito,un simulacro per i rari escursionisti di passaggio.
Su fondo giallo ho scritto la seguente frase :” Questi luoghi sono dedicati al culto della natura : mentre Sali verso l’alto ,contempla la magia che si dispiega al tuo sguardo… fa’ che ogni tuo passo sia discreto ,umile e silenzioso …”
Adesso sono qui,accoccolato accanto al fuoco senza fumo,a gustare una minestrina e le ultime tre salsicce acquistate ieri. Sì,adesso sono qui,ricco solo del vento che fa stormire le foglie ed i miei capelli in una solitudine senza precedenti : chissà perché con un brivido penso al caos del mio lavoro,in una città frenetica e disordinata come Napoli con le sue contraddizioni ed il suo “vegetare” giorno dopo giorno.
Sì,adesso sono qui a respirare soltanto io quest’aria profumata della notte accanto a questo fuoco ,circondato da poche cose povere che a me però bastano per le mie necessità.
Il vento adesso mi costringe di tanto in tanto a cambiare posizione per il fuoco .Calano definitivamente le tenebre e con esse i timori di sempre !
Chiuso nella tenda ed infilato nel sacco a pelo odo di nuovo il vento che gioca tra i rami degli alberi come se si trattasse del respiro di uno spettro vagante,eppure … anche quando c’era la luce ,c’era lo stesso fruscio … cos’è allora che da angoscia quando la notte stende il suo velo nero sulle cose ?
La conquista della notte,da parte dell’uomo,è una storia di piccole ,grandi vittorie sulla paura.La fantasia popolare da sempre ha collocato negli orridi recessi delle montagne deserte ogni sorta di malevoli presenze sovrannaturali. Addentrarsi in boschi ,popolati da troppi sguardi invisibili,significa sfidare il destino,anche se la giornata prescelta può apparire calma e serena .
“ Io andare lassù e dormirci ? Mai ! “
Quante volte mi sono sentito dare questa risposta da persone che mi chiedevano come facessi a passare una notte tra i monti … poveri ingenui !
Come se passare una notte al centro di una città o di una sua periferia o in discoteca fosse meno pericoloso… anzi ! Cesare Pavese,che certamente non era un escursionista,ha dato un’interpretazione di quell’arcaico rapporto con il sacro e con il mistero. A parlare nel buio sono due viandanti moderni,costretti a trascorrere una notte all’addiaccio tra le balze dei monti.
“ Pensiamo all’angoscia delle genti di un tempo,per cui l’aria era piena di spaventi notturni ,di arcane minacce,di ricordi paurosi ( … ) e se questo disagio fu vero,come è indiscutibile,fu anche vero il coraggio,la speranza,la scoperta felice di promesse di incontri. Io per me,non mi stanco mai di sentirli parlare dei loro terrori notturni ( … ) “.
Quante poesie,liriche e romanzi ha ispirato la notte !
Quello che più mi viene in mente in questo momento è un vecchio libro letto al Liceo “ Il sentimento della notte” di Giacomo Leopardi in cui si evince come le tenebre possano influenzare l’animo umano scavando nei sentieri più reconditi della sua anima,rivelandone miseria e malinconia con l’approssimarsi della sera …
Forse questo è anche uno dei motivi per cui sono qui : la ricerca di un contatto interiore non ancora perduto…nella società dell’elettronica e dei Mac Donald’s alcuni proprio non “ ce la fanno “ e se vanno per monti e boschi incespicando tra sassi e rocce,soffrendo il freddo e il caldo,lo sferzare frustante del vento …ma almeno lontano dal frastuono e dai condizionamenti …
Ora è proprio tardi. Un ultimo sorso alla borraccia,poi chiudo gli occhi. Un assiolo ,nel bosco,alle mie spalle ,fa udire il suo lungo e monotono richiamo,a cui fanno eco una coppia di barbagianni.
La foresta si anima improvvisamente di mille rumori : l’attività notturna è iniziata per molte creature,e molte di esse non vedranno il sorgere del sole,chi cacciatori chi prede …

ILTERZO GIORNO 
Mi sveglio infreddolito e un po’ stanco.
E’ giorno fatto,e,senza perdere tempo accendo il fuoco per riscaldarmi e preparare la colazione.
Oggi mi aspetta una bella passeggiata sui monti per arrivare alla magica cima del Palanuda,tra intricate foreste che,da Pietra Campanara,portano fin sulla cima.
Non c’è fretta. Non devo neanche smontare la tenda ma per precauzione depongo lo zaino ed i viveri all’interno della capanna mentre con me porto soltanto il solito zainetto.
Riempio la borraccia e mi do una riassettata.
Indosso una maglietta pulita,nuovi calzettoni e,dopo aver dato un ultimo sguardo al campo,mi avvio lentamente per il sentiero verso il Belvedere dove sono stato ieri sera.
Giunto al bivio,questa volta,anziché girare a sinistra,proseguo dritto, inoltrandomi subito in una folta faggeta arricchita da agrifogli e sorbi dell’uccellatore.
Alcune ghiandaie,disturbate dal mio passo,prendono il volo gracchiando andando poi ad appollaiarsi su alcune piante di corbezzolo.
Il bosco è fittissimo ed il sentiero è completamente invaso dall’erba e da qualche giovane faggio caduto quest’inverno. Dopo un quarto d’ora,improvvisamente il bosco si apre dando vita ad una pietraia in salita. In breve,sulla mia sinistra,compare alta,maestosa, e sinistra Pietra Campanara … questa curiosa “guglia” presa a simbolo dell’oasi di Orsomarso sembra una solerte sentinella posta a guardia dei monti della Valle dell’Argentino. Ne approfitto per fare una sosta e bere un po’ d’acqua.
Continuo ad essere proprio solo e stranamente mi invade una certa inquietudine che fin’ora non ho avuto,tranne forse,durante la notte …
Ho sempre la sensazione che improvvisamente possa comparirmi dinanzi un magico folletto dispettoso o qualche spirito dei boschi disturbato nel suo sonno.
Respiro l’aria tersa del mattino e guardo in su,sulla mia destra ad una ventina di metri ,un pino loricato che sfida il vento abbarbicato tenacemente alla roccia.
Ore 10.15.
Mi alzo controvoglia e lascio Pietra Campanara per proseguire,ancora in salita,sull’esile sentiero illuminato dal sole. Nel bosco odo ancora il gracchiare delle ghiandaie che rendono l’ambiente magico e sinistro allo stesso tempo.
Sono felice… felice di aver fatto questa esperienza che mi sta arricchendo sempre di più,con la voglia di andare sempre avanti e scoprire nuove emozioni nei recessi più reconditi della mia anima !
Con questo pensiero,mi impongo un passo più lento…
Non c’è fretta !
Non c’è nessuno che mi corra dietro o che mi dia premura…voglio assaporare fino in fondo tutti i doni che mi sta offrendo questo splendido giorno.
Alla fine del sentiero,si apre una salita molto ripida completamente immersa in un bosco molto buio cosparso da un manto di foglie sul terreno che rendono più difficile il cammino.
Mi fermo per un attimo per riprendere fiato e,senza indugio,attacco la salita arrancando aiutandomi con un bastone.
Nel bosco non si ode alcun rumore : solo io,con la mia presenza,spezzo quella monotona atmosfera ,spostando con gli scarponi il tappeto di fogliame che ricopre la terra.
Finalmente giungo ad un valico,ben evidenziato sulla cartina,da cui posso ammirare i minacciosi Crivi di Mangiacaniglia con i suoi pini loricati.Adesso procedo allo scoperto su un terreno pericolosamente sassoso e da questo mi accorgo che la cima del Palanuda non è lontana.
Uno spuntone di roccia mi sbarra il cammino,per cui sono costretto ad arrampicare facendo uso anche delle mani in cerca dello spuntone più roccioso per potermi issare sempre pi su.
Alzando lo sguardo,alla mia sinistra,posso ammirare l’anticima nuda,cosparsa di erba e sassi che ostacolano il cammino. Un forte odore di erica e di origano selvatico impregnano l’aria circostante mentre la cima è lì,brulla,immota nella sua fierezza .
Mi siedo sulla pietra sulla quale verniciata in rosso vi è la scritta “ M. Palanuda “ e comincio,come al solito,a scattare tante fotografie.
Sulla mia destra,posso ammirare,nel fondovalle,la pietra Campanara;dinanzi a me,Scalea con il percorso del fiume Argentino che si riversa nel mare il tutto sovrastato dal Varco della Gatta e più a sinistra,in fondo,dai Piani di Novacco.

… curioso…ho aguzzato la vista nel tentativo (chiaramente inutile) di osservare la mia auto parcheggiata.
Tutto è silenzio : soltanto il vento muove le stoppie sulle cime dando al paesaggio forza e bellezza.
Ore 11.30 .
Visto che è ancora molto presto,decido di restare ancora un po’ in cima e goderne la pace in questa atmosfera da sogno….indosso la giacca a vento per proteggermi da quel vento che da un po’ colpisce la cima.
Mi distendo e pongo lo sguardo di fronte ai Piani di Novacco e la Valle dell’Argentino ripercorrendo mentalmente il percorso molto impegnativo che avrei dovuto affrontare domani.
Domani … ultimo giorno della mia esperienza … sono qui,sono dove dovevo essere .Esulto.
Per qualche istante ancora questa felicità apparterrà solo a me e mi ci immergo totalmente fino a saziarmene… ma per ora assaporo questi profumi che solo chi ha frequentato gli alpeggi riesce a comprendere. D’altra parte,sarei dovuto stare molto attento domani per non incorrere in incidenti,anche il più banale…una semplice distorsione alla caviglia mi avrebbe messo in una situazione veramente seria per una persona sola !
E ancora questi profumi… mi riportano alla memoria altri luoghi,monti,visi di persone con le quali ho condiviso i magici momenti di “immersione” nella natura incontaminata.
Come ho gia detto,alla mia destra,vi è Campotenese ,un ameno ed ampio pianoro,purtroppo oggi deturpato dalla strada e dallo svincolo autostradale : una volta era occupato da un lago.
Da Campotenese confluisce la Valle del Battendiero che nasce proprio qui. Il valico divide il Pollino dai più meridionali monti dell’Orsomarso.
Intanto mi accorgo di avere fame e preparo qualcosa da mettere sotto i denti : pane,formaggio,una scatoletta di tonno ed un frutto costituiscono il mio pranzo … stasera ,al campo,potrò preparare qualcosa di caldo e più sostanzioso.
Sarei tentato di affrontare subito la Valle dell’Argentino ma mi rendo conto di non avere sufficiente luce a disposizione e sono tuttavia anche un po’ stanco.
Mi diverto a scrivere qualcosa in questi silenzi… pensieri che vengono giù così,senza un filo logico,preciso,piuttosto una “tempesta di emozioni” che ti prendono e che ti fanno dannare per non saperle sufficientemente trasferire su carta… è impossibile !
Poi,questa magica intimità con l’universo è bruscamente interrotta da grossi nuvolosi che non annunciano niente di buono : preferisco allora lasciare subito la cima per scendere al mio campo a Mare Piccolo.
Improvvisamente,come è solito che accada in montagna,grossi goccioloni di pioggia,in breve,si trasformano in un vero e proprio muro d’acqua accompagnati da un discreto vento che soffia ululando tra le profonde gole dei monti circostanti.
Soltanto nella fitta faggeta ,l’acqua sembra fermarsi sotto quel gigantesco ombrello di rami e foglie.
Per fortuna con me ho sempre il mio vecchio “poncho” impermeabile molto utile in queste occasioni.
Il rumore del vento adesso,a mano a mano che discendo verso il campo è diventato il mio migliore amico,anche se l’ho sempre temuto.
Ore 13.50.
Arrivo a Mare Piccolo mentre continua a piovere però meno incessantemente. Decido di riparare nella baracca di legno per asciugarmi e prendere un thè caldo. Dopo pochi minuti,sono dinanzi ad un bel fuoco schioppettante seduto su un tronco di legno usato a mo’ di sgabello,mentre fuori continua a cadere l’acqua riempiendo il bosco di mille piccoli suoni.
Il cielo si è scurito ed ogni tanto mi affaccio dalla piccola finestra senza imposte per controllare il tempo.
Approfitto della mia forzata sosta per studiare per bene la cartina topografica I.G.M. del percorso di domani ben sapendo però,che più che sulla cartina,avrei dovuto fare più affidamento sul mio senso di orientamento e seguire costantemente lo scorrere dell’Argentino. Quando da decenni frequenti le montagne ed i boschi si sviluppa un sesto senso come negli animali selvatici e in qualche caso ci si affida più che a deduzioni logiche al “proprio naso”.
Ore 15.45.
Non piove più . Mi affaccio timidamente alla sgangherata porta della baracca rabbrividendo per l’umidità accumulatasi sul terreno e tra gli alberi. Ho deciso che questa notte non dormirò in tenda ma nella baracca per non incorrere in un eventuale nuovo temporale .
Alle spalle di Mare Piccolo,vi è un sentierino,appena accennato,con a lato un enorme “sorbo dell’uccellatore” : seguo il sentiero che,dopo aver attraversato un fitto bosco di annosi faggi,mi porta
sulle rive del Tavolara le cui acque balzano fragorose in miriadi di piccole e grandi salti d’acqua che formano,in grosse marmitte,pozze limpide e cristalline.
Qui,è una natura incontaminata e selvaggia ! Passano forse degli anni prima che qualcuno si fermi in questi luoghi. Qui è il regno del capriolo autoctono e del lupo,signore incontrastato dei monti e dei boschi.
Ridiscendo per un po’ il torrente ponendo molta attenzione a dove mettere i piedi per non scivolare sulle pietre lisce ricoperte di muschio. In questo luogo,il sole sembra non esista…tutto è avvolto in una semioscurità da tregenda…qualche tronco marcio ,riverso sulle sponde,agonizza tra i flutti mentre numerose trote fario guizzano felici nell’acqua gelida.
Mi siedo sul poncho di fronte ad una cascatella ammirandone la forza e la spuma bianco-latte che si forma al cadere nel “salto” sottostante.
Il rumore dell’acqua tra le pietre è come la voce del bosco e della natura che cerca di parlare e di comunicare con te e sono parole,le stesse,di qualche milione di anni fa ,la stessa ritmica cadenza dal suono puro ed argentino.
Sembrano raccontare la storia dell’umanità,delle sue vicissitudini,l’alternarsi del giorno e della notte,delle stagioni,degli inverni gelidi e delle estati torride…
Rientro al campo.
Do una riassettata generale a me stesso e al mio equipaggiamento. Tiro fuori tutto dallo zaino per riporre tutto con ordine. Con una pezzuola ingrasso gli scarponi e preparo l’abbigliamento per domani .
Sarà una giornata calda : dovrò partire presto per non trovarmi nella valle in piena calura . Prima di cenare e di riposare,faccio una buona scorta di legna secca per la notte . Metto la pentola sul fuoco.
Intanto esco fuori e,da un brandello di cielo ,non coperto dagli alberi,ammiro la volta celeste cosparsa da miriadi di stelle che,come tante fiaccole,rompono la monotona oscurità del bosco .
In lontananza odo scorrere il fiume tra i ciottoli mentre le ultime gocce di pioggia,mosse dal vento,sulle foglie intrecciano una ritmica danza sul suolo impregnato di pioggia.
E’ la mia ultima notte su questi monti : vorrei catturare ogni rumore,ogni silenzio,ogni sensazione per farla mia e portarla nel profondo del mio essere ,nelle mie vene e nel sangue e mentre osservo con sguardo fisso le fiamme del fuoco del rustico caminetto del rifugio,penso che in me esistono due nature diverse eppure non contrastanti : una che ama la casa,la famiglia,l’altra invece vuole scoprire,osservare oltre l’orizzonte,vagabondare senza meta per boschi e montagne udendo solo il sibilo del vento…
Ma forse ho la certezza di non appartenere a nulla e che nulla mi appartenga ma per quanto mi fosse estraneo il bisogno di possedere ,ho dovuto in qualche modo trovarmi delle radici.
Ma se proprio dovessi appartenere a qualcosa vorrei appartenere alla terra,diventare parte di essa,alimentandomi della sua linfa vitale e respirando sui “ sentieri del vento “,come occhi le stelle e come abiti le foglie degli alberi…
E tra questi pensieri mi convinco ancora di più che questi luoghi sono forse gli unici ancora capaci di parlare all’anima …



IL QUARTO GIORNO
Ore 5.30 del mattino.
Stranamente questa notte non ho dormito bene : mille rumori e fruscii intorno alla capanna hanno tenuto vigili i miei sensi facendo venir fuori antichi timori e paure …
Sono contento che sia arrivata l’alba a fugare i fantasmi della notte …
La notte è stata lunga. La giornata sarà lunga : è ora di alzarsi,preparare tutto e di buttarsi nelle “fauci del lupo “.
Preparo la colazione e lentamente mi vesto per affrontare questo mio ultimo giorno in solitaria.
Mi attende la Valle dell’Argentino con le sue gole profonde e le sue impenetrabili foreste ricche di alberi secolari e senza alcuna traccia di sentiero.
Ore 6.15.
Sono pronto.
Dopo aver spento accuratamente il fuoco mi intrattengo ancora qualche minuto dinanzi alla porta della capanna ad ammirare tutto lo spazio intorno a me ,in quella meravigliosa radura che è Mare Piccolo.
E mentre inizio il sentiero,curvo sotto il peso dello zaino,volgo lo sguardo un’ultima volta con tanta nostalgia…ritornerò ? Non lo so !
E tra questi pensieri,dopo una decina di minuti arrivo al Belvedere . La giornata,fortunatamente è limpida,anche se da lontano la cima del Palanuda e dei Crivi di Mangiacaniglia sono avvolti da un po’ di foschia.
Al di sotto del Belvedere ,parte una mulattiera sassosa,a causa di frequenti frane provenienti da montagnole sulla destra lasciando il posto,dopo pochi minuti,ad un sentierino erboso tracciato dagli animali selvatici.
Sulla mia sinistra si apre superba e minacciosa la Valle dell’Argentino e al pensiero di andare laggiù da solo un piccolo brivido mi corre lungo la schiena.
Coraggio,proseguiamo !
Mi trovo adesso proprio sotto Pietra Campanara, finchè,dopo un paio di curve,essa scompare alla mia vista. Ciò che adesso mi infastidisce di più sono gli sciami di insetti costringendomi spesso a mettere le mani sul viso e darmi dei sonori… ceffoni !
La primavera qui è nella sua totale esplosione : solo chi ha percorso tutta la Valle dell’Argentino può comprendere le forti emozioni che suscita quest’ambiente selvaggio e meraviglioso nello stesso tempo !
Qui uomo e natura sembrano fondersi in modo indissolubile dove l’uno non domina sull’altra.
Qui,tutto sembra essersi fermato agli albori della creazione dove la terra è ancora in comunione con il cielo e con il vento che soffia minaccioso negli anfratti dei monti.
Un falco pellegrino,in cerca di cibo,sorvola questa maestosità in un volo silenzioso ed elegante.
Dopo aver attraversato una vera e propria foresta di felci gigantesche,sulla mia sinistra,nascosto dalla vegetazione e dai massi odo il fresco suono della sorgente del “ Timpone Fornelli” fresca e dissetante.
Mi bagno il capo ed il viso anche per liberarmi dalla miriade di insetti che mi hanno letteralmente assalito attirati dal mio sudore. Dovrei cospargermi di fango per ovviare a questo problema ma non ne ho voglia. Funghi dalla strana forma attraversano il mio cammino mentre faticosamente mi apro la strada con il coltello tra le felci che mi impediscono il passaggio.
Odo il fruscio delle piante che sfregano sullo zaino alle mie spalle richiudendosi poi come una pozza d’acqua nella quale sia stato scagliato un sasso. Giungo così in un’ampia radura circondata da maestosi faggi ed aceri : sulla destra,in forte pendenza,scorre l’Argentino,dove,in pochi minuti ne raggiungo le rive. Adesso non c’è più silenzio : è il fiume ad accompagnare con il suo turbinio il mio cammino.
Un enorme faggio abbattuto sbarra il sentiero per cui sono costretto a scavalcarlo e a rimettermi di nuovo sulla sponda sinistra del fiume.
Mi sembrava di essere ritornato “animale” con la sua selvaticità mentre mi muovo con prudenza e decisione ad ogni passo tra quella vegetazione intricata e lussureggiante,sondando il terreno con il bastone tra arbusti e fogliame.
Prendo la bussola e punto decisamente in direzione ovest seguendo il corso del fiume.
Ore 8.20
Mi fermo su un prato dove il fiume turbina con minore violenza tra i ciottoli per sgranocchiare qualche biscotto e liberarmi per un po’ dal peso dello zaino.

Gli insetti continuano ad infastidirmi ed unico refrigerio è quello di bagnare il viso e le braccia nell’acqua del fiume.
Sto scendendo di quota e,giunto su un valico,incontro tra i faggi ,i resti di un troncone di teleferica.
Infatti in epoca borbonica qui vi erano miniere d’oro e di argento che appartenevano alle famiglie altolocate dei paesi vicini. La pista su cui procedo altro non è che il vecchio tracciato della ferrovia “decauville” costruita dalle imprese del nord e straniere che dalla fine dell’ottocento alla metà del novecento hanno disboscato pesantemente l’Orsomarso lasciando intatto solo qualche lembo nei punti più isolati del massiccio. Ora la foresta è decisamente in ripresa ed i tagli sono limitati ed oculatissimi.
Procedo in leggera salita con una parete rocciosa sulla mia destra coperta interamente di capelvenere e,dopo un piccolo inghiottitoio,arrivo su un terrazzo naturale che domina tutta la valle : è forse lo spettacolo che mi ha emozionato di più in questi miei giorni in solitaria…
Guardando alle mie spalle infatti,osservo il percorso effettuato,mentre dinanzi dirupi e foreste senza fine mi indicano che il sentiero da percorrere è ancora molto lungo.
Ma non è questo che mi spaventa : sono letteralmente “ inghiottito” dalla Valle mentre l’Argentino scorre lontano sotto di me alla mia sinistra.
Essere lì,era come rivivere il fascino di una esistenza fiera ed impegnativa eppure misteriosa e paurosa…
Il vento sussurra più forte e crea ritmi che finivo io stesso per seguire come sinfonie tribali e mi perdo in una dimensione sconosciuta e segreta.
Ho dimenticato tutto da dove vengo e dove devo andare : sono ubriaco di aria,di profumi,di terra,di fango,di cielo in questa atmosfera magica e sento …
Sento di non aver sbagliato .
Nel punto in cui mi trovo,immagino di perdermi. Immagino di perdere,magari,tutto il peggio che si ha e che si è,così da ritrovarmi migliore e nuovo !
Posso vedere come dei fasci di luce divina inoltrarsi nel folto dei rami ed illuminare,con precisione,i boschi intorno. Penso che tutti gli esseri umani dovrebbero avere questa possibilità di abbracciare l’immenso e l’ignoto come questo paesaggio che diventa aggressivo,brutale,tuttavia io mi sento in sintonia con questo universo. Provo un misto di desolazione ed esaltazione nello stesso tempo osservando le forme fantasiose e sorprendenti che di volta in volta assumono le rocce avendo l’impressione di scavalcare una scultura.
Mi richiama da questi pensieri il verso di un corvo non lontano da me. “ Ciao amico mio ! “ gli grido non so perché a gran voce ,accorgendomi solo adesso che sono quattro giorni che non parlo con nessuno se non con i miei pensieri.
Il sentiero adesso, ingombro da una fittissima vegetazione,mi conduce prima attraverso un terreno molle e limaccioso ricoperto da enormi foglie di farfaraccio,poi in una e vera palude,per cui sono costretto a compiere degli ampi giri cercando di non perdere l’orientamento.
In breve,giungo di nuovo sulle rive del fiume e,per proseguire devo per forza guadare con l’aiuto di un lungo bastone e di due piccoli tronchi gettati lì,tra le due sponde.
La piccola traversata avviene senza difficoltà,ma le meraviglie non finiscono : sul sentiero ,ora abbastanza largo,mi appare una vera e propria foresta “incantata” di tipo pluviale come ve ne sono nel Borneo,dove tutto cresce in funzione del fiume che ora ha accelerato la sua corsa.
Arbusti con foglie di quasi un metro di diametro ingombrano i lati del sentiero,mentre vere e proprie liane scendono dagli alberi in un intrico di vegetazione impenetrabile.
Mi fermo un attimo per scattare qualche foto e riprendere fiato.
Ore 10.30.
Mi sdraio sul terreno erboso nei pressi di una sorgente nascosta dalle felci assaporando queste ultime ore di autentica libertà,ripercorrendo con la memoria i luoghi visitati in questi giorni e l’esperienza maturata in questa mia solitaria.
Dovrò adesso scendere a valle,ritrovare la gente,il loro inutile chiasso,il loro bere,mangiare,consumare…accidenti ! Ma quand’è che è cominciato il mio viaggio?
La luna e il sole si sono divertiti a pennellare il mio cammino o la mia fuga silenziosa ed il ricordo si veste di malinconia ad ogni mio passaggio. Ed ora eccomi qui,con un pesante zaino,una maglietta sporca più di me,con gli scarponi infangati ed impolverati a camminare nel vento cercando,inconsciamente,di prolungare la mia permanenza nella Valle procedendo molto piano,assaporando le emozioni meravigliose e contrastanti che sto vivendo…
Ancora una volta mi giro ed osservo le montagne da dove sono sceso…esse restano lì,immote e maestose aspettando una nuova stagione quando l’estate le brucerà con il sole rovente e l’inverno le coprirà di

candida neve…esse saranno ancora lì ad aspettarmi ad accogliermi o respingermi…
Dio,io non so dove sei,ma se c’è un luogo dove io posso immaginarti ed incontrarti è proprio qui,in ogni pietra,in ogni albero,in ogni creatura,ed odo la tua voce nell’acqua del fiume o tra le gole dei monti attraverso il sibilo del vento …
Qui,tutto parla di Te,grande artista del creato…pittore sublime,scultore raffinato…è forse qui,Signore,la Tua dimora segreta quando stanco di questo mondo ti vieni a rifugiare?
Penso proprio di sì.
E’ proprio qui che l’anima trova la sua serenità,la sua pace ed il nostro corpo la sua vera funzionalità.
Ore 1240.
Arrivo ad un primo ponticello di legno,segno inequivocabile dell’opera dell’uomo e dell’avvicinarsi,per me,l’ora del distacco dalla Valle e la fine della mia avventura.
L’Argentino adesso,corre turbinoso sotto il ponte,come se avesse fretta di raggiungere al più presto il vicino mare di Scalea.
Il sentiero,in questo punto,è totalmente sgombro e pulito e trovo tracce del passaggio recente di persone sugli altri due ponti che attraverso.
Mi sembra di udire da non molto lontano delle voci e l’abbaiare di un cane al di là del fiume.
Vorrei tornare indietro,nella capanna,tra i boschi e sulle cime,tra la pioggia ed il sole,tra le felci e gli annosi pini loricati e percorrere tra essi i magici sentieri del vento …
Le voci adesso sono più vicine…
…sì,è proprio finita !


I  S E N T I E R I  D E L V E N T O

 

 

Pino Del Prete

...56anni laureato in Giurisprudenza, è nato a Napoli dove vive e lavora. Da oltre vent'anni è impegnato nel sociale come capo educatore in servizio volontario negli Scouts dell'AGESCI. E' una Guida GAE  e volge il suo impegno, ormai da anni, a promuovere quelle forme di turismo escursionistico ed ambientale non solo in Campania, ma dall' Abruzzo alla Calabria. Attualmente collabora come consulente d'escursionismo e collaudatore di sentieri e itinerari, alla Rivista Universitaria "NOVA ATHENEUM" offrendo il suo apporto tecnico e logistico in tematiche naturalistico e ambientali. Da oltre 10 anni presta la sua opera di guida proponendo e organizzando escursioni per Gruppi e Associazioni quali le Sezioni napoletane del WWF e di Lega Ambiente. Affianca inoltre, il corpo insegnanti impegnato a promuovere la didattica ambientale nelle scuole medie inferiori. Inoltre si occupa di poesia, raccolta ne"Correre sulle ali del vento", libri di carattere ambientale, ultimo lavoro: "I voli dell' Anima", un viaggio di singolare e introspettivo alla ricerca interiore dei sentimenti umani.


Grazie Pino, dietro la tua maschera di uomo silenzioso e cupo, nascondi l'essenza della vita...Robby

 

 

 

 

 

 

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