Sabato 26 febbraio 2005.
Benevento Pace Vecchia ore 6:55;
Piedimonte Matese ore 9:50/10:05;
San Gregorio Matese ore 11:15/11:25;
Ristorante Lago Matese da Carmela ore 12:25;
Benevento Rione Ferrovia ore 18:05; odometria finale kmm 158,6.
Non c’è niente da fare. Nonostante la (fortunata) ricerca miratissima degli intervalli più adatti alla
pratica ciclistica, è un inverno lungo e rigido, questo del Duemilacinque: dall’ultima decade del dicembre
scorso e soprattutto dalla metà di gennaio fino a questa fine di febbraio (e per almeno la prima settimana
di marzo, sembra) freddo, acqua (poca), gelo (tanto), e neve (tantissima), creando disagi ed emergenze e
purtroppo qualche disgrazia qua e là, occupano buona parte dei telegiornali. Martedì scorso nevicava
ancora “nella stessa Benevento”, come commentava il TG regionale; fino a stamattina non credevo mai
più di poter raggiungere il Lago del Matese prima dell’arrivo del mese d’esordio della primavera. Ho
voluto però caparbiamente dar retta all’unico vero fisico climatologo divulgatore in circolazione sulle TV
italiane, a Guido Caroselli, che ieri individuava una finestra meteo praticabile con linea di demarcazione
climatica molto prossima alla mia meta prefissata. L’osservazione esterna del primo mattino beneventano
ha incoraggiato la mia decisione di provare, se non altro a partire; una partenza brusca, molto “a freddo”:
negli ultimi 17 giorni ho potuto sfogare solo un paio di pedalate fra Benevento e San Giorgio del Sannio,
una ieri mattina sotto un’acqua piovuta a mio dispetto.
Già dalla “Collina della Pace”, grazie ad una visibilità lunga permessa da una copertura nuvolosa
abbastanza alta, il Matese è visibile innevato, con un plafond di nuvole che ne copre difatti solo le punte
o comunque non cala al di sotto dei due terzi delle quote di vetta. Mi allontano da una Benevento
asciutta e nemmeno così fredda, considerando quello che va succedendo in questa memorabile stagione,
mentre le ripetute osservazioni verso il massiccio campano-molisano confermano le mie impressioni,
facendo presto crescere un giustificato ottimismo. Cerco di prendere un passo deciso perché comincio a
crederci nella concreta possibilità di raggiungere il lago e mi do da fare come posso per non perder tempo,
anche se, stravestito e imbottito come sono, con lo zaino ben riempito, non mi è facile spingere la MTB su
velocità rispettabili. Per mia fortuna, col passare dei chilometri e con l’avvicinarsi dei monti, la
condizione climatica si stabilizza e attraverso le alte formazioni nuvolose volgendo lo sguardo verso l’alto
posso osservare, ben schermato, il disco solare in appannata opalescenza. Sono molto sorpreso del forte
contrasto fra le previsioni prima citate e quelle enormemente meno permissive viste qualche minuto prima
della partenza sulle TV commerciali correnti: una discrepanza, per adesso, scandalosa.
Da Piedimonte comincia la salita che mi porterà man mano sempre più su, portandomi a contatto coi
primi depositi nevosi fra Castello e San Gregorio. In questo secondo paese mi soffermo in un bar a far
arieggiare lo strasudato vestiario intimo, togliendomi per pochi minuti il corposissimo felpone sintetico che
fa da autentica corazza termica, e quindi consumando la canonica barretta di cioccolato farcito. Gli
avventori sono tutti anziani; mi sento un po’ come un intruso in un circolo di veterani. Tre di essi parlano
di una recente andata a Benevento per importanti faccende, fra cui forse fatti clinici, portando poi la loro
meditante conversazione su di un passato (evidentemente per loro non sepolto) in cui questi territori
ricadevano amministrativamente sotto il primato di quella città, che ad un tratto invocano e quasi
vezzeggiano con lenta, trasognata espressione, quasi esternando una punta di malinconico rammarico. Mi
rivesto e ricomincio a salire, notando come dai miei polsini sgoccioli sulle appendici basse del manubrio
tutto il sudore che mi si accumula sotto l’impenetrabile supermaglione sciistico da tre euro, comprato a
piazza Risorgimento dopo averlo ritrovato sulla stessa bancarella itinerante per almeno tre/quattro volte
precedenti, senza che nessuno avesse saputo apprezzarlo. Ben presto il panorama diventa alpino nel senso
pieno della parola: i muretti di neve al lato della strada superano il metro e tenderanno ai due fra un po’ a
quota mille. Ottimo il lavoro degli spazzaneve che hanno saputo sgomberare quasi per intero la
carreggiata da un innevemento imponente. L’atmosfera si fa grigia, 4 o 5 chilometri prima del Passo di
Miralago inizia a turbinare un sottile nevischio tanto coreografico e nient’affatto fastidioso: sono in
ambiente invernale totale, in piena montagna, letteralmente graziato da un’assenza di vento che se si
presentasse (come le sensazionalistiche previsioni di stamene annunciavano) mi farebbe pentire di essemi
avventurato fin quassù all’inizio di questo ultimo terzo di questo glaciale interminabile inverno. Al Passo
di Miralago la neve è molto alta dappertutto. Sono indeciso se entrare nel bar o provare a proseguire giù
verso la sponda lacustre, in tal caso dando fatalmente via altre risorse energetico-caloriche al venticello
della discesa dapprima, e alla breve risalita prima del ritorno, poi. Ebbene, già che son qui, scendo.
Quando la strada si spiana in riva al lago eccone comparire l’intera distesa, ben visibile e vicina, a
distanza di pochi “salti di lupo”, al di là della massiccia bianca massa che copre tutto, lasciando verdi
punte arboree a rompere la candida riposante monotonia sulla costa montana oltre il lago stesso, a sua
volta trasformato in una estesissima pista di duro ghiaccio, solo in piccole strie osservabile come tale,
giacché un buon 90% di quel gelido, momentaneamente solido spiazzo, è a sua volta imbiancato da uno
strato uniforme di neve, naturalmente immacolata e intatta come più di così non è possibile trovarne.
Vapori e stracci di nubi in ondulata migrazione, ombre acquanevose più o meno diafane, ora cupe ora
chiare, modulano dall’alto l’illuminazione plumbeoturchina di questa atmosfera semimagica, rara alle mie
abitudini e, proprio per questo, fissa in certe mie ricerche.
Al centro esatto della riva sud, entro (marciando nelle neve) nel ristorante Lago Matese per chiedere alla
gestora una consumazione baristica, ma la signora, apparsa ai miei richiami, mi riindirizza gentilmente
alcune centinaia di metri a ritroso per fruire dei servizi del bar presso l’Hotel Miralago, tornandosene a
far compagnia al signore che avevo visto (arrivando dalla strada) calato con pigra voluttà in sapida
masticazione su un piatto di spaghettoni o vermicelli, nella immensa attuale solitudine del loro grande
ristorante immerso oggi nell’artica quiete del paesaggio creatosi. Fuori, di fronte allo spettacolo della
conca lacustre pervasa da questa strana luce, smorzata da nubi onnipresenti e da una invisibile brumanevischio
che però poco tolgono alla scrutabilità panoramica, mi soffermo ancora un minuto con una
giovane famigliola (papà mamma e bimba) che scesa dall’auto gioca con la neve e col freddo in piena
serenità intaccando appena il profondo, perfetto, universale silenzio circostante.
Arrivo al bar in cima al miralago, superando barriere (muraglie...) di neve antistanti il suo atrio fra le
quali sono state scavate corsie (cunicoli...) di accesso. Una coppietta si vede servire, giusto al mio
sopraggiungere, due belle tazze di densa fumante cioccolata, suggerendomi subito la scelta migliore per
cercare di reintegrare la mostruosa spesa energetica che sto pagando: è così! sarebbe ipocrita e falso cercar
di minimizzare lo sforzo che mi costerà (alla fine) questa bella gita disegnata coi pedali della mia MTB.
L’arrivo del ciclista solitario incoraggia ben presto la conversazione _piacevole_ dei due giovani (di
Airola?) prima e di due addetti alla manutenzione stradale subito appresso (uno di Bocca della Selva e
l’altro di Cusano Mutri). Discorro di ciclismo col primo (la ragazza tace e ascolta) e anche di strade e
problemi di manutenzione invernale coi secondi. Ipotizzo una consumazione con the alla cordiale signora
del bar-ristorantino per eventuali probabili ritorni in stagioni magari più confacenti alle escursioni
ciclistiche stradali non brevi, mi copro col supercasaccone termico quasi-impermeabile pagato tre euro come
il felpone, e inizio il rientro. Fuori dal bar il ragazzo della coppietta , dalla macchina, mi saluta ancora,
augurandomi addirittura un “Buon viaggio!”: visto il mio mezzo e la cornice ambientale, questa non deve
esser giudicata tanto alla svelta un’espressione fuori luogo o esagerata. E’ volata intanto via un’altra
mezz’oretta, perché rimonto in bici che le ore tredici sono passate da una decina di minuti.
La discesa mi sembra lunga! inaspettatamente!! più della salita!!! ... ... ...
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